di Giorgio Marinello e Franco Giuseppe Gobbato

L'esercito americano nella Grande Guerra

4000 uomini e 125 ufficiali al comando del colonnello William Wallace.

L’entrata in guerra degli Stati Uniti il 6 aprile 1917, in conseguenza dell’affondamento della nave Lusitania, aveva messo a disposizione del fronte alleato l’enorme capacità produttiva americana, promettendo così una svolta nel conflitto che viveva un momento di stasi, più favorevole agli Imperi Centrali. Lo sforzo bellico americano fu però interamente rivolto al fronte occidentale, considerato più in difficoltà rispetto al fronte italiano secondario e comunque più stabile. Il solo contributo statunitense verso il fronte italiano nel 1917 fu l’addestramento di piloti americani al bombardamento notturno, svolto nella scuola di Foggia (dove furono addestrati oltre 400 piloti, quasi tutti poi destinati al fronte occidentale) e nella primavera del 1918 la formazione di una cinquantina di piloti nella Scuola Idrovolanti della Marina di Bolsena. Da qui si arrivò alla successiva creazione di una squadriglia autonoma composta da solo personale americano (in sostituzione di quello italiano della 263 squadriglia) istituendo, il 24 luglio 1918, una U.S. Naval Air Station nella base idrovolanti di Porto Corsini (peraltro con mezzi e materiali italiani). Si registra in questa fase la presenza di volontari come i “Giovani Poeti” tra le cui fila collaborarono Ernest Hemingway ed altri scrittori americani: questi venivano impiegati come autisti di ambulanze e come personale di supporto alla Croce Rossa, nella sussistenza e presso le “Casa del Soldato” gestite dalla YMCA.

Per il fronte terrestre italiano non era stato previsto alcun impegno. Il Ministero della Guerra americano, in conseguenza di Caporetto, il 31 gennaio 1918 istituì una missione americana in Italia con al comando il generale Eben Swift, allo scopo di verificare sia l’andamento della guerra in quel fronte sia il morale della popolazione italiana dopo la pesante sconfitta. L’incarico fu sottoscritto il 15 febbraio 1918 con enorme contrarietà del Comando Interalleato di Parigi, che considerava di assoluta priorità l’impegno americano nel fronte francese e raccomandava di specificare che non ci sarebbe stato alcun intervento militare nel fronte italiano. Il 20 febbraio il Dipartimento di Guerra confermò al Comando americano a Parigi la volontà di non inviare truppe sul fronte italiano.

In seguito alla spinta delle lobbies degli emigrati italiani negli Stati Uniti, alla consapevolezza che il fronte italiano aveva una importanza strategica nell’impegnare gli Imperi Centrali e non ultimo grazie a lunghe trattative (il generale Giardino in data 18 aprile 1918 e il Ministro Orlando poi richiesero almeno una divisione, cioè circa 40.000 uomini), il 14 maggio 1918 il generale Pershing, capo della missione americana in Europa, predispose per l’invio di un Reggimento in Italia. Questo, su richiesta del Governo italiano, doveva esser composto il più possibile da soldati di origine non italiana (per evitare che si pensasse che fossero truppe travestite da statunitensi); dovevano essere addestrati e alloggiati dagli italiani, ma il vitto doveva essere a carico degli americani. La loro attività avrebbe dovuto essere puramente propagandistica e convincere gli austriaci della presenza in forze degli americani sul fronte italiano, contribuendo di conseguenza ad elevare il morale dei nostri connazionali.

Il 26 giugno la scelta ricadde su un Reggimento, in quel momento in attesa di addestramento a Donnemarie in Francia, a 90 km da Parigi: il 332esimo della 83esima divisione, composto principalmente da militari provenienti e formatisi nello Stato dell’Ohio, a Camp Sherman; assieme ad esso, anche il relativo reparto ospedaliero, il 331esimo, per un totale di 4000 uomini e 125 ufficiali al comando del colonnello William Wallace. La partenza fu fissata per il 25 luglio 1918 con arrivo a Villafranca di Verona il giorno seguente.

Nel frattempo anche il Comando inglese in Italia, per iniziativa sia del comandante in campo, Lord Cavan, sia del capo missione generale Redcliffe, richiedeva la presenza di almeno due divisioni americane sul fronte italiano da unire alla forze inglesi per formare due armate: una sotto comando inglese e una sotto comando americano agli ordini del generale Swift (con il quale Lord Cavan aveva trattato l’argomento ai primi di luglio). La risposta di Pershing fu molto seccata ribadendo che l’impegno americano in Italia sarebbe stato solo per un Reggimento (con la richiesta che di questo ne fosse chiaramente informato il Governo Italiano) e che gli inglesi non dovevano interessarsi dell’argomento (telegramma del 18 luglio). Il generale Swift fu immediatamente richiamato a Versailles e sostituito dal generale Charles G. Treat. Ancora però nel settembre 1918, in un incontro con Pershing, il generale Diaz richiese l’invio di almeno 20 o 25 divisioni sul fronte italiano. La richiesta fu cassata senza alcuna risposta da parte del comando americano.

Fin da subito il Reggimento svolse il proprio compito propagandistico: nel tratto italiano del viaggio, il treno si fermava a ogni stazione principale e veniva accolto dalla popolazione festante, con tanto di banda e personalità politiche. Ogni fermata era una festa in onore del Reggimento. Giunto a Villafranca di Verona (tra il 26 e il 29 luglio), dopo i soliti festeggiamenti, il Reggimento fu dislocato prima in quattro sedi diverse, quindi, non piacendo tale sistemazione al colonnello Wallace, fu riaccorpato in un accampamento vicino a Valeggio (Mantova). Qui iniziò il proprio addestramento guidato dalla Compagnia Arditi agli ordini del maggiore Allegretti. L’attività militare fu funestato da un incidente il 13 settembre: una granata di mortaio esplose durante l’esercitazione all’interno di una trincea affollata. Morirono 4 soldati ed un ufficiale e più di 40 uomini rimasero feriti, alcuni dei quali (tra cui un tenente colonnello) posero fine alla loro carriera militare con questo incidente.

L’opera di propaganda si sviluppò con la presenza di militari a ogni manifestazione o festa tenuta in zona, tra le quali una cerimonia di premiazione di piloti americani con lo stesso Re Vittorio Emanuele III e una escursione a Roma con la banda del Reggimento. Ai primi di settembre il secondo Battaglione venne destinato a presidiare una zona del fronte sul Piave, senza peraltro mai combattere. Il resto del Reggimento si congiunse a inizio ottobre con il secondo Battaglione e fu trasferito nei pressi di Treviso, insediandosi a Villa Angelica a Lancenigo. La notte stessa dell’arrivo furono accolti da un bombardamento dell’aviazione austriaca, probabilmente venuta a conoscenza della presenza americana nella zona. Il 14 ottobre furono trasferiti nella città di Treviso. Anche in questo periodo fu continua e numerosa la partecipazione a manifestazioni, decorazioni o qualsiasi altro avvenimento che poteva essere di interesse pubblico. Iniziarono le marce forzate giornaliere: ogni Battaglione si faceva osservare, in completo equipaggiamento, su tutta la linea del fronte del Piave, in luoghi sempre diversi e con differenti uniformi (la mattina con cappotti ed elmetti, il pomeriggio con cappelli e giubba e così via). Si dovevano dare l’impressione di una corposa presenza americana al fronte. E la strategia riuscì così bene che una volta fatti prigionieri alcuni ufficiali austriaci presso Codroipo, questi erano convinti di avere a che fare con l’avanguardia di un esercito di almeno 300.000 americani.

Il reggimento prese parte alle operazioni di guerra il 31 ottobre passando il Piave alle grave di Papadopoli come retrovia dell’Armata inglese. Attraversò Vazzola, soggiornò a Gaiarine e nel pomeriggio del 3 novembre arrivò sulle rive del Tagliamento, a Ponte della Delizia. Qui fu contattato da un colonnello austriaco che, venuto a conoscenza dell’armistizio firmato a Villa Giusti che avrebbe avuto effetto dalle 15.30 del giorno seguente, chiese al comandante Wallace il cessate il fuoco. Non fidandosi dell’austriaco il colonnello Wallace rifiutò. L’attacco alla sponda opposta del Tagliamento, presidiato dagli austriaci con numerose mitragliatrici, fu sferrato alle 5.00 del giorno seguente e, in un paio d’ore, il Reggimento sfondò la linea nemica e si diresse verso Codroipo. Le perdite consistettero in un caporale morto (Charles S. Kell della compagnia G) e 7 feriti. A Codroipo, nel pomeriggio, gli Americani furono raggiunti dalla notizia dell’Armistizio. Al Reggimento fu ordinato di avanzare il più possibile dato che i nuovi confini italiani sarebbero stati definiti in base all’avanzamento delle truppe nel territorio. Il Reggimento arrivò a Cormons (primo paese dell’Impero Austro-Ungarico) il 12 novembre attraverso una marcia forzata che lo aveva portato a Pozzuoli, Lovario e Ipplis. Nel frattempo il secondo Battaglione era stato destinato nel Cattaro per controllare le tensioni in atto tra serbi e montenegrini, mentre il terzo Battaglione veniva assegnato a Fiume per compiti di polizia. Il resto del Reggimento rientrò a Treviso il 24 novembre. L’11 febbraio 1919 il Reggimento, riunito con il secondo e terzo Battaglione, fu trasferito a Genova da dove partì il 29 marzo 1919 per gli Stati Uniti. Il Reggimento fu sciolto tra il 2 e il 3 maggio 1919 a Camp Sherman, con il congedo di tutti i suoi effettivi. Alla fine del conflitto le perdite totali ammontarono a un morto e sette feriti in combattimento, cinque morti e quaranta feriti in addestramento, più una quarantina circa di decessi per malattia (principalmente per la così detta “influenza spagnola”).